Il Bosco di Riazzolo, ultimo residuo dell'originaria foresta planiziale lombarda, ha una storia millenaria, di cui si può trovare documentaziione sin dalla fine del III sec. a.C. Terreno di caccia dei Visconti e degli Sforza, nella seconda metà dell'800 divenne proprietà dello scrittore e diplomatico Alberto Carlo Pisani Dossi.
La storia del Bosco di Riazzolo sta racchiusa come un gheriglio entro il guscio del suo toponimo: in milanese antico il termine riazzoeu indicava una particolare reticella da caccia impiegata nella cattura delle quaglie e di altri uccelli silvestri: la radice ria- segnala l’uso tipicamente ripale di questa rete leggera, stesa su fossi e canali a maglie prensili e fini (Francesco Cherubini, Vocabolario milanese-italiano, Milano 1839-56).
Il nome del luogo ne rivela pertanto l’essenziale natura: un grande bosco umido, ricco di risorgive e acque palustri, attraversato da fossi e ricolmo di fauna sparsa fra alberi e arbusti, quando non acquattata fra l’erba e i fiori del rigoglioso sottobosco.
Un sito certo ideale per le antiche cacce viscontee e sforzesche, posto al mezzo delle loro splendide cavalcate, spinte fuori delle mura milanesi fino alle fresche e selvose rive del Ticino: e un luogo perciò stesso protetto da specifici editti, scampato alla progressiva avanzata dei terreni agricoli iniziata ai tempi della prima dominazione romana (fine del III sec. a.C.) e variamente proseguita nello svolgersi dell’età medievale, sotto l’impulso delle istituzioni monastiche benedettine e umiliate, proprio a partire da quell’antica e civile centuriazione.
Ogni angolo del Bosco di Riazzolo svela intatti frammenti geografici capaci di ricomporne la storia millenaria. Tra la dominazione romana e l’alto medioevo, i suoi acquitrini dovettero essere progressivamente bonificati lasciando spazio alle teste dei fontanili, che con le loro aste e canali ne attraversano l’ampio manto ombroso fino a raggiungere e ad irrigare le circostanti campagne. Così se il profondo Fontanile Risotto ci rammenta la secolare coltura del riso estesa attorno a Rosio (Albairate) e Fagnano (Gaggiano), il Fontanile Porcile, contornato da querce farnie, lumeggia l’antico uso celtico di allevare maiali nei querceti generosi d’ombra, d’acqua sorgiva e di ghiande; alle pratiche venatorie richiama ancora il Fontanile Uccella, segnalando l’impiego di reti stese fra i rami e più in generale le assidue cacce silvestri iniziate dai Visconti e fastosamente continuate dagli Sforza, fino a proporre interi cicli di affreschi sulle pareti d’ogni sala del Castello di Milano, raffiguranti con gusto ancora tardogotico duchi e signori a cavallo, ritratti dal vero e immersi nei prediletti luoghi dei loro intrepidi ozi (si tratta dei perduti cicli di caccia commissionati da Galeazzo Maria Sforza a Bonifacio Bembo intorno al 1473).
Alcuni di questi fontanili furono intersecati dall’ampio corso della Roggia Soncina, fatta scavare da Francesco Sforza nel 1450 per portare acqua ai fondi di Cusago, derivandola direttamente dal Naviglio Grande. Le opere irrigue connesse a tale fabbrica accompagnano la roggia attraverso l’intero bosco, disegnando ancora una volta l’asse Milano-Cusago-Riazzolo.
L’aspetto e l’utilizzo del bosco si mantennero pressoché invariati fra Cinque e Settecento, nell’avvicendarsi di proprietà conservative capaci di contemperare i periodici tagli con gli svaghi privati, pur in presenza di una costante diminuzione della superficie totale, a vantaggio della graduale espansione dei coltivi, portata a un massimo di razionalizzazione in età teresiana, oggettivamente trasferita nell’istituto catastale.
Già a metà dell’Ottocento il botanico poteva infatti lagnarsi che fosse scomparso quasi “ogni vestigio della vegetazione primitiva” (Carlo Cattaneo, Notizie naturali e civili su la Lombardia, Milano 1844). Ma proprio allora inizia a delinearsi un più sensibile impatto antropico sulle residue selve dell’Alto e Basso milanese, specie con la diffusa introduzione della robinia pseudoacacia, pianta nordamericana sostenuta fra gli altri da Alessandro Manzoni. Anche il Bosco di Riazzolo accolse diffusi impianti di robinie, divenendo nelle aree marginali un ordinato ceduo a ceppaie tagliato a turni di dieci-undici anni.
Alla fine del secolo lo scrittore e diplomatico Alberto Carlo Pisani Dossi, in arte Carlo Dossi (1849-1910), diviene proprietario del Bosco di Riazzolo e degli ampi fondi agricoli che lo contornano, connessi tutti all’antica Casa Mussi di Corbetta, proprio allora restaurata nelle sue linee viscontee. Contestuali ricerche d’archivio permisero di scoprire che Ambrogio Varese da Rosate, medico e protofisico di Ludovico il Moro, ne era stato proprietario intorno alla fine del Quattrocento.
Non sarà pertanto improprio immaginare a Riazzolo eleganti incontri di svago silvestre durante il ducato del Moro, anche e proprio nei possedimenti del carissimo Ambrogio. Lo stesso Leonardo da Vinci, attivo in quei medesimi anni presso la corte sforzesca, avrà senz’altro conosciuto questi vicini paesaggi, intersecati a diversi livelli da molti e ingegnosi manufatti irrigui (teste, aste, tombe, salti del gatto, ponti canale, bocchelli, chiuse e altro ancora). All’età romana compresa fra I sec. a.C. e II sec. d.C. ci riportano invece gli scavi archeologici compiuti dallo stesso Dossi ai margini del Bosco di Riazzolo, fra Albairate e Cisliano (le necropoli della Vigna Streppa, della Cascina Faustina e del podere della Mischia).
Al principio del Novecento, la crescente ingressione periferica di altre specie esotiche, quali il ciliegio tardivo americano e il cinese ailanto, modificò ulteriormente l’equilibrio del bosco, comunque tenacemente protetto da Franco Pisani Dossi (1894-1968), figlio di Carlo e intelligente erede di quel bene prezioso, anche attraverso l’istituzione (1913) di una Riserva di caccia, quale unica forma, allora, capace di poter contenere la continua espansione delle terra coltivata (secondo, è curioso notare, l’inveterato uso visconteo).
L’integrale recupero dell’assetto originario del bosco, mediante graduali e sistematici interventi di miglioramento, è ormai affidato agli eredi di Franco Pisani Dossi ed è già in atto dal 1998 sui sedici ettari di superficie entro i confini della Cascina Forestina, grazie alla costante cura e all’operoso potenziamento d’ogni specie autoctona.
Tali opere hanno potuto incontrare l’iniziale contributo (1998-1999) della Comunità europea (Reg. CEE 2080/92) e il successivo sostegno (2000-2002) del Parco Agricolo Sud Milano e dei Comuni di Cisliano e Corbetta, attraverso la stipula di specifiche convenzioni.
Numerosi censimenti e studi d’area relativi alla flora, alla fauna e al sistema dei fontanili del Bosco di Riazzolo sono stati promossi e direttamente curati dal Parco in collaborazione con le Università degli Studi di Milano e Pavia. Presso il Bosco della Chiesa, appezzamento satellite del Bosco di Riazzolo in Comune di Corbetta, il Parco ha attivato nel 2000 un sito di reintroduzione del Pelobates Fuscus Insubricus (Cornalia, 1873), specie anfibia quasi estinta in Pianura padana: il progetto è realizzato in collaborazione con i proprietari del bosco e allarga la salvaguardia di questi mirabili luoghi.